• Mer. Lug 9th, 2025

Profilo Storico

Il conflitto tra Israele e Iran affonda le radici negli sconvolgimenti geopolitici del XX secolo e si è evoluto attraverso fasi molto diverse. Prima del 1979 i due paesi mantennero persino rapporti ufficiosi di cooperazione, ma la Rivoluzione Islamica iraniana segnò un punto di non ritorno, trasformando un’intesa pragmatica in un’ostilità dichiarata. Da allora, una serie di eventi chiave – guerre per procura, sviluppi nucleari e atti di sabotaggio – ha scandito una rivalità sempre più accesa. Di seguito una cronologia essenziale dei momenti salienti:

  • 1948-1979: sotto lo Scià filo-occidentale Mohammad Reza Pahlavi, l’Iran adotta un approccio pragmatico verso Israele. Pur non riconoscendolo formalmente fino al 1950, Teheran intrattiene contatti segreti con Tel Aviv, condividendo interessi comuni (alleanza con gli USA, timore dell’URSS, inimicizia con i vicini arabi). In questi anni si sviluppa una collaborazione sotterranea ma sostanziale: scambi petroliferi, cooperazione agricola, e soprattutto intese di intelligence tra il Mossad e la SAVAK iraniana. Israele diviene persino un importante fornitore di armi e tecnologia militare per l’Iran pre-rivoluzionario.
  • 1979: la Rivoluzione Islamica in Iran rovescia il regime dello Scià e instaura la Repubblica Islamica guidata dall’ayatollah Ruhollah Khomeini. Questo evento provoca una rottura drastica: l’Iran passa da partner tacito di Israele a suo acerrimo nemico ideologico. Khomeini bolla Israele come un “tumore canceroso” da estirpare, in linea con la retorica rivoluzionaria anti-sionista, e Teheran interrompe ogni relazione diplomatica. L’ambasciata israeliana a Teheran viene chiusa e simbolicamente consegnata all’OLP palestinese, a sottolineare il nuovo orientamento filo-palestinese del regime khomeinista.
  • 1980-1988: durante la guerra Iran-Iraq, nonostante la retorica infuocata, emergono paradossali cooperazioni tattiche. Israele, temendo l’Iraq di Saddam Hussein più dell’Iran degli ayatollah, fornisce segretamente armi a Teheran. Ciò avviene anche nell’ambito dello scandalo “Iran-Contra” del 1986, in cui gli USA (ufficialmente ostili all’Iran) dirottarono clandestinamente armamenti verso l’Iran – con complicità logistica israeliana – finanziando al contempo i Contras in Nicaragua. Questi episodi di realpolitik, tuttavia, non intaccano l’ostilità di fondo: terminata la guerra con l’Iraq, l’Iran intensifica la propria postura anti-israeliana, sostenendo movimenti islamisti radicali.
  • Anni 1990: l’Iran diventa il principale sponsor di gruppi armati anti-israeliani. Teheran appoggia Hezbollah in Libano e gruppi palestinesi come Hamas e la Jihad Islamica, presentandoli come “resistenza” all’occupazione israeliana. Israele percepisce tali milizie come proiezioni dirette dell’aggressività iraniana. Nel 1992 e 1994, attentati sanguinosi contro obiettivi israeliani ed ebraici in Argentina (ambasciata a Buenos Aires e centro AMIA) vengono ricondotti a Hezbollah e all’Iran, segnando l’internazionalizzazione del conflitto. In parallelo, con la fine della Guerra Fredda, l’Iran cerca di espandere la propria influenza regionale in contrapposizione a Israele, assumendo il ruolo di paladino della causa palestinese.
  • Anni 2000: il confronto entra in una fase critica a causa del programma nucleare iraniano. Nel 2002 l’Iran viene colto in fallo per attività nucleari non dichiarate, alimentando i sospetti israeliani. Teheran sostiene che il programma sia civile, ma arricchisce uranio oltre i limiti consentiti. Israele considera inaccettabile la prospettiva di un Iran nucleare, definendola una minaccia esistenziale, e adotta una dottrina preventiva: a partire dal 2010 emergono operazioni segrete attribuite a Israele per rallentare il nucleare iraniano. Nel 2010 un potente virus informatico, Stuxnet, colpisce le centrifughe dell’impianto di Natanz, sabotando il programma di arricchimento – attacco cyber attribuito congiuntamente a Israele e USA. Negli anni successivi, una serie di scienziati nucleari iraniani viene assassinata in attentati mirati (dal 2010 al 2012 almeno quattro), operazioni coperte che fonti internazionali imputano al Mossad. Lo stesso primo ministro israeliano Netanyahu nel 2018 rivela al mondo di aver ottenuto un archivio segreto sul nucleare iraniano trafugato a Teheran – prova, a suo dire, dell’intento di dotarsi dell’arma atomica eludendo gli accordi. Nel 2006 intanto era già esploso un conflitto aperto tra Israele e Hezbollah in Libano, culminato in una guerra di un mese; Israele accusò l’Iran di aver provocato quella guerra armando Hezbollah con migliaia di razzi.
  • 2010-oggi: l’ultimo decennio vede la “guerra a bassa intensità” tra Iran e Israele farsi sempre più intensa e multilivello. In Siria, durante la guerra civile iniziata nel 2011, l’Iran dispiega forze (Guardiani della Rivoluzione e milizie sciite) a sostegno del regime di Assad; Israele, preoccupato dall’entrenchment iraniano ai propri confini, lancia centinaia di raid aerei contro basi, convogli d’armi e comandanti iraniani o di Hezbollah sul suolo siriano. Nel 2020, dopo il ritiro unilaterale degli Stati Uniti dall’Accordo sul nucleare (JCPOA), l’ombra di un confronto diretto si allunga: in luglio un’esplosione sabotatrice devasta l’impianto nucleare di Natanz; a novembre il principale scienziato nucleare iraniano, Mohsen Fakhrizadeh, viene assassinato in Iran con un’arma automatizzata hi-tech, in un’operazione attribuita ai servizi israeliani. Teheran reagisce aumentando l’arricchimento dell’uranio al 60% (livello mai raggiunto prima) e accusando Israele di blackout e incidenti nei propri impianti. Contestualmente, l’Iran intensifica il sostegno alle milizie alleate (“Asse della Resistenza”), includendo gruppi in Iraq e gli Houthi in Yemen, mentre Israele stringe nuove alleanze regionali: con gli Accordi di Abramo (2020) normalizza i rapporti con Emirati Arabi Uniti, Bahrein e altri stati arabi sunniti, tutti preoccupati dall’espansionismo iraniano. Questo riallineamento ha isolato ulteriormente l’Iran nella regione e lo ha spinto a rafforzare i legami strategici con potenze come Russia e Cina. Nel 2023 l’Iran si è ritrovato nuovamente al centro della scena quando Hamas (gruppo sostenuto da Teheran) ha attaccato Israele causando una guerra su Gaza; Israele ha accusato l’Iran di fomentare il fronte settentrionale con Hezbollah, e il rischio di un conflitto diretto Israele-Iran – finora evitato – è diventato tangibile. Complessivamente, dal 1979 a oggi, la rivalità è passata da uno scontro indiretto e ideologico a uno scontro geopolitico totale combattuto su più fronti: diplomatico, militare (per procura), tecnologico e simbolico.

Profilo Politico

Dal punto di vista politico, la crisi tra Israele e Iran è alimentata da posizioni ufficiali inconciliabili, dal coinvolgimento di numerosi attori statali e non statali, e da alleanze trasversali che plasmano gli equilibri del Medio Oriente. Di seguito analizziamo questi aspetti: le retoriche e obiettivi dichiarati dei governi iraniano e israeliano, il ruolo dei principali attori e alleati internazionali, e la dimensione del conflitto per procura e segreto che vede impegnati i due Paesi.

Posizioni Ufficiali e Retorica Ideologica

La Repubblica Islamica dell’Iran non riconosce la legittimità di Israele e adotta da oltre quattro decenni una retorica di aperta ostilità. Fin dai tempi di Khomeini, il regime iraniano definisce Israele come un’entità illegittima e malvagia, spesso con toni estremi. L’attuale Guida Suprema Ali Khamenei ha ribadito più volte questa linea: ad esempio, nel discorso per la Giornata di Gerusalemme del 2020 ha descritto Israele come “un virus” e “un cancro da estirpare”, esortando i musulmani a liberare la Palestina. Teheran giustifica la propria inimicizia verso lo “Stato sionista” come sostegno alla causa palestinese e opposizione all’“imperialismo” occidentale in Medio Oriente. La leadership iraniana proclama come dovere islamico la lotta per la liberazione di Gerusalemme, e ammette apertamente di armare le fazioni palestinesi: “Quando ci siamo accorti che i combattenti palestinesi… erano privi di armi, abbiamo deciso di colmare questo vuoto”, dichiarò Khamenei, rivendicando i rifornimenti iraniani ad Hamas e Jihad Islamica.

Dal lato opposto, Israele considera il regime iraniano la maggiore minaccia strategica alla propria sicurezza nazionale. In particolare, il programma nucleare iraniano e il supporto di Teheran a gruppi ostili lungo i confini israeliani sono visti come minacce esistenziali. Gli esponenti israeliani – sia di governo che dell’opposizione – sono unanimi nel ritenere inaccettabile che l’Iran acquisisca l’arma atomica. Il primo ministro Benjamin Netanyahu (in carica per molti degli ultimi anni) ha definito l’Iran “la più grande minaccia esistenziale” per Israele e ha più volte affermato che Israele farà tutto il necessario per impedire a Teheran di ottenere la bomba nucleare, anche agendo da solo preventivamente se necessario. Anche quando a metà anni 2010 era in vigore l’accordo internazionale sul nucleare (sostenuto da Europa e USA sotto Obama), Israele lo criticò duramente, giudicandolo insufficiente a scongiurare il pericolo iraniano. In sintesi, sul piano ufficiale lo scontro narrativo è totale: l’Iran teocratico chiama alla distruzione dello “Stato ebraico” in nome dell’Islam rivoluzionario, mentre Israele si presenta come baluardo assediato che deve difendersi dal fanatismo iraniano per assicurare la propria sopravvivenza.

Attori e Alleanze Strategiche

La crisi Israele-Iran travalica i due diretti protagonisti e coinvolge un ampio ventaglio di attori internazionali, le cui alleanze delineano blocchi geopolitici contrapposti:

  • Stati Uniti: sono il principale alleato di Israele e il maggiore avversario esterno dell’Iran. Washington e Teheran non hanno relazioni diplomatiche dal 1980, dopo la rivoluzione e la crisi degli ostaggi nell’ambasciata USA a Teheran. Da allora gli Stati Uniti hanno imposto sanzioni economiche crescenti all’Iran e cercano di limitarne l’influenza regionale. In parallelo, gli USA garantiscono ad Israele un appoggio politico, militare ed economico quasi incondizionato: forniscono circa 3,8 miliardi di dollari l’anno in aiuti militari (cifra fissata dall’Amministrazione Obama fino al 2028), oltre a supporto diplomatico in sedi ONU. Gli Stati Uniti condividono l’obiettivo di impedire che l’Iran sviluppi armi nucleari, arrivando a coordinare con Israele operazioni di intelligence (come il cyber-attacco Stuxnet). Tuttavia, vi sono state divergenze tattiche: ad esempio, l’Amministrazione Obama promosse l’accordo sul nucleare del 2015 malvisto da Israele, mentre l’Amministrazione Trump adottò la linea dura uscendone nel 2018 in sintonia con Netanyahu. Nel complesso, l’asse Washington-Tel Aviv è un pilastro del contenimento dell’Iran in Medio Oriente.
  • Monarchie del Golfo e Paesi arabi sunniti: molti stati arabi, tradizionalmente ostili a Israele, negli ultimi anni si sono avvicinati ad esso in funzione anti-iraniana. L’Arabia Saudita e gli Emirati Arabi Uniti, ad esempio, vedono l’Iran sciita come un rivale pericoloso per l’egemonia regionale e per la sicurezza (Iran minaccia la navigazione nel Golfo Persico, arma i ribelli Houthi nello Yemen contro i sauditi, ecc.). Questo ha portato a un’inedita convergenza strategica con Israele. Gli Accordi di Abramo del 2020 – con cui Emirati, Bahrein (e in seguito Marocco e Sudan) hanno normalizzato le relazioni diplomatiche con Israele – sono stati in gran parte motivati dalla comune preoccupazione verso l’Iran. Anche l’Arabia Saudita, pur non avendo ancora riconosciuto Israele ufficialmente, collabora dietro le quinte in ambito di intelligence e difesa missilistica di fronte alla minaccia iraniana. Questo riallineamento regionale ha creato un fronte informale israelo-sunnita opposto all’“asse sciita” capeggiato da Teheran. Un’eccezione nel mondo arabo è il Qatar, che mantiene invece buoni rapporti con l’Iran (oltre che con gruppi come Hamas) e talvolta funge da mediatore.
  • Russia e Cina: queste potenze, sebbene geograficamente esterne al conflitto mediorientale, hanno interessi rilevanti nella crisi. La Russia intrattiene rapporti cordiali sia con Israele sia – soprattutto – con l’Iran. Dopo il 2015 Mosca e Teheran hanno combattuto fianco a fianco a sostegno del governo siriano, cementando una partnership militare. Al contempo, Israele e Russia hanno dialogo aperto per evitare incidenti in Siria (dove l’aviazione israeliana colpisce bersagli iraniani senza ostacolare direttamente le forze russe). Nel contesto di una possibile guerra Israele-Iran, la Russia ufficialmente condanna le azioni israeliane (ritenendole violazioni della Carta ONU) e teme destabilizzazioni vicino ai propri confini meridionali. Vladimir Putin ha offerto mediazioni diplomatiche per risolvere la crisi nucleare, cercando di bilanciare il legame strategico con Teheran (oggi accentuato anche dalla cooperazione militare, ad esempio gli iraniani forniscono droni armati alla Russia impiegati in Ucraina) e l’interesse a non rompere completamente con Israele. La Cina, dal canto suo, è emersa come partner economico-energetico chiave dell’Iran: Pechino importa una parte significativa del petrolio iraniano sfidando le sanzioni (circa 1,5 milioni di barili al giorno nel 2023), ed è il primo sbocco commerciale per Teheran. Nel 2021 Cina e Iran hanno firmato uno storico accordo di cooperazione venticinquennale, suggellando un’alleanza orientata a bypassare l’ordine occidentale. La Cina mantiene però anche buoni rapporti con Israele in ambito tecnologico ed economico, e ufficialmente promuove stabilità e dialogo (ha ospitato colloqui per ricomporre lo strappo tra Arabia Saudita e Iran nel 2023). In sintesi, Mosca e Pechino tendono a proteggere l’Iran in sede ONU da sanzioni più dure, vedendo Teheran come un alleato nella sfida all’influenza USA, ma cercano di evitare un conflitto aperto che perturberebbe i loro interessi regionali.
  • Unione Europea e comunità internazionale: l’UE ha un approccio più diplomatico e commerciante: è stata co-sponsor dell’accordo nucleare 2015 e tenta di mantenere vivi i canali negoziali con Teheran, pur criticando il suo programma missilistico e le repressioni interne. Paesi europei come Francia, Germania, Regno Unito condannano le minacce iraniane a Israele ma al tempo stesso frenano le mosse unilaterali (es. Israele che valuta attacchi preventivi). Le Nazioni Unite hanno imposto embarghi sulle armi e limitazioni al programma nucleare iraniano, ma il Consiglio di Sicurezza è spesso paralizzato dal veto russo-cinese. In caso di guerra aperta, la comunità internazionale teme gravissime conseguenze: ondate migratorie, terrorismo, crisi energetica globale. Dunque, a livello ufficiale si moltiplicano gli appelli alla distensione e a soluzioni diplomatiche, finora senza esito risolutivo.

Conflitto per Procura e Operazioni Segrete

Una caratteristica centrale della crisi Iran-Israele è che lo scontro diretto tra eserciti regolari finora non è avvenuto apertamente, ma si combatte attraverso guerre per procura e azioni coperte. L’Iran, impossibilitato a sfidare militarmente Israele in campo aperto, ha costruito negli anni una rete di milizie alleate ai confini dello Stato ebraico, fornendo loro finanziamenti, armi e addestramento tramite la Forza Quds (il ramo esterno dei Pasdaran). Hezbollah in Libano è l’esempio più potente: nato nei primi anni ’80 con l’aiuto dei Pasdaran, oggi dispone di un arsenale stimato in 150.000 tra missili e razzi (dai semplici Katyusha a missili a medio raggio iraniani) e di circa 45.000 miliziani (metà dei quali combattenti a tempo pieno). Questo ne fa una forza paramilitare più forte di molti eserciti regolari, sostenuta finanziariamente e logisticamente dall’Iran (con qualche contributo anche siriano e, per sistemi avanzati, dalla Russia). Hezbollah rappresenta la “punta di lancia” dell’Iran contro Israele: ha ingaggiato guerre con Israele nel 1993, 1996 e la più devastante nel 2006, lanciando migliaia di razzi sul territorio israeliano, e resta costantemente pronto a colpire dal fronte nord. Analogamente, l’Iran sostiene Hamas e la Jihad Islamica nei Territori Palestinesi, fornendo fondi e un flusso di armi (spesso introdotte di contrabbando a Gaza o fabbricate localmente con know-how iraniano). Queste fazioni hanno compiuto periodicamente attacchi missilistici e incursioni contro Israele – il caso più eclatante l’offensiva di Hamas dell’ottobre 2023 – aumentando la pressione sul governo israeliano. Teheran è inoltre collegata a milizie sciite in Siria e Iraq (come Kataib Hezbollah), utilizzate per attaccare basi americane o israeliane (ad esempio, lanci di droni e razzi contro installazioni US in Iraq o contro il Golan israeliano). Persino i ribelli Houthi nello Yemen, pur concentrati contro l’Arabia Saudita, hanno adottato la retorica anti-israeliana e in scenari recenti avrebbero ricevuto dall’Iran droni a lungo raggio che potrebbero minacciare anche Israele. In sintesi, l’Iran ha creato un “corridoio” di proxy che circonda Israele e le basi USA nella regione, mettendo in pratica la strategia di “guerra asimmetrica” per compensare la propria inferiorità convenzionale.

Da parte sua, Israele ha risposto sviluppando capacità militari e di intelligence sofisticate per colpire indirettamente l’Iran. Sul fronte convenzionale, l’aviazione israeliana compie regolarmente operazioni aeree mirate: oltre ai già citati bombardamenti in Siria di depositi e convogli iraniani, Israele ha in passato colpito impianti legati all’Iran anche altrove (famoso il raid del 2007 in Siria che distrusse un reattore nucleare nascosto, azione preventiva condotta con probabile benestare americano). Inoltre, Israele conduce una guerra segreta sul suolo iraniano: numerosi incidenti all’interno dell’Iran – esplosioni in basi missilistiche, incendi in impianti strategici, eliminazione di singoli comandanti dei Pasdaran – sono stati attribuiti a operazioni clandestine di intelligence israeliana, spesso in coordinamento con reti di oppositori interni iraniani. Un capitolo importante è quello della cyberguerra: dopo Stuxnet nel 2010, gli attacchi informatici reciproci sono proseguiti. Nel 2020 hacker iraniani tentarono di sabotare il sistema idrico israeliano con un attacco cibernetico; Israele avrebbe risposto colpendo con un cyber-attacco il porto iraniano di Bandar Abbas, causando caos logistico. Entrambi i Paesi investono molto anche nella guerra di spionaggio: il Mossad israeliano è ritenuto responsabile di audaci missioni in Iran, come il furto degli archivi nucleari nel 2018 o l’eliminazione di Fakhrizadeh nel 2020, mentre l’Iran tramite la Forza Quds e l’intelligence del MOIS ha orchestrato tentativi di attentati contro obiettivi israeliani o ebraici all’estero (dal Sud America all’Europa, fino a complotti sventati in Georgia, Thailandia e Cipro). Anche sul territorio israeliano la minaccia iraniana è presente: si ritiene che cellule dormienti o simpatizzanti possano essere attivate per compiere sabotaggi in caso di guerra, e droni armati lanciati da milizie filo-iraniane sono stati intercettati nei cieli israeliani negli ultimi anni.

L’insieme di queste attività configura già oggi una “guerra ombra” in atto tra Israele e Iran, combattuta lontano dai riflettori ma assai reale. Il rischio è che un incidente o un’escalation in uno di questi teatri – ad esempio uno scontro massiccio con Hezbollah o un attacco preventivo israeliano ai siti nucleari in Iran – inneschi una spirale incontrollabile verso un conflitto aperto. In tal caso, tutti gli attori sopra descritti sarebbero coinvolti, con conseguenze potenzialmente disastrose per la regione.

Profilo Economico

La rivalità tra Iran e Israele ha implicazioni economiche profonde sia a livello nazionale che globale. Sanzioni, spese militari e incertezza geopolitica influenzano le economie di entrambi i Paesi, mentre la tensione nell’area del Golfo Persico – snodo cruciale per l’energia mondiale – può ripercuotersi sui mercati internazionali. Analizziamo dunque l’impatto economico della crisi sui due paesi e sul contesto globale, toccando temi chiave come petrolio, sanzioni, commercio e costi militari.

Iran: l’economia iraniana è probabilmente la più colpita dal conflitto protratto. Dal 1979 in poi, e ancor di più nell’ultimo decennio, l’Iran ha subito un regime di sanzioni internazionali stringenti (imposte da USA, ONU e UE in varie fasi) legate in gran parte al suo programma nucleare e al sostegno a gruppi armati. Tali sanzioni hanno limitato drasticamente l’export di petrolio – principale fonte di entrate per Teheran – e l’accesso del paese al sistema finanziario globale. Basti pensare che dopo il recesso degli USA dall’accordo sul nucleare (2018) le esportazioni petrolifere iraniane sono crollate ai minimi decennali, riducendo le entrate in valuta: nel 2020 l’Iran incassò solo 16 miliardi di dollari dal petrolio, rispetto ai 50+ miliardi di dollari annui che è comunque riuscito a generare più recentemente aggirando parzialmente le sanzioni. Infatti, nonostante l’embargo occidentale, l’Iran mantiene una quota d’ombra sul mercato petrolifero grazie a un sistema elaborato di contrabbando: una “flotta fantasma” di petroliere, gestita in buona parte dai Pasdaran, esporta greggio soprattutto verso la Cina e altri partner disposti a sfidare le sanzioni. Si stima che la metà circa degli introiti petroliferi iraniani finisca direttamente sotto il controllo dei Guardiani della Rivoluzione, che li utilizzano anche per finanziare le milizie alleate in Medio Oriente (Hezbollah, Hamas, gruppi in Iraq e Yemen). Ciò sottrae risorse allo sviluppo interno e spiega in parte perché, pur ricco di petrolio e gas, l’Iran versi in difficoltà economiche croniche.

La qualità della vita in Iran è deteriorata a causa sia delle sanzioni esterne che di problemi strutturali e scelte di bilancio (ingenti fondi dirottati sulla difesa e la sicurezza). Dal 2018 l’economia iraniana ha subito recessioni o crescite anemiche, accompagnate da un’inflazione galoppante: l’inflazione media annua è rimasta stabilmente sopra il 30% dal 2019 al 2024, un livello senza precedenti nella storia moderna iraniana, arrivando a sfiorare il 45% nel 2023. La moneta nazionale, il rial, si è svalutata drasticamente (nel 2023-24 il cambio ha superato i 500.000 rial per 1 dollaro), erodendo il potere d’acquisto delle famiglie. Disoccupazione e caro-vita alimentano un malcontento popolare diffuso, sfociato in ondate di proteste antigovernative negli ultimi anni. Il governo di Teheran attribuisce la crisi soprattutto alle “guerre economiche” mosse dagli Stati Uniti, ma la popolazione percepisce anche la cattiva gestione interna e la corruzione. In Parlamento, nel marzo 2025, è stato persino sfiduciato il ministro dell’Economia per non aver arginato l’inflazione record. La spesa militare iraniana ufficiale, pur cresciuta negli ultimi tempi, resta relativamente contenuta rispetto alle ambizioni strategiche: secondo stime Jane’s e IISS, l’Iran nel 2024 spende circa 9 miliardi di dollari per la difesa (circa il 3% del PIL), una cifra che il governo ha annunciato di voler triplicare nei prossimi bilanci alla luce delle “minacce regionali”. Tuttavia, va ricordato che esiste un bilancio parallelo gestito dai Pasdaran (finanziato anche con proventi illeciti e traffici) che alimenta i programmi missilistici, nucleari e le operazioni all’estero. In generale, la “crisi permanente” con Israele ha avuto per l’Iran costi enormi in termini di mancata integrazione economica globale: investitori stranieri fuggiti, decenni di sforzi scientifici dirottati sul nucleare e sull’industria bellica invece che sullo sviluppo civile, isolamento finanziario e tecnologico. Ciò nonostante, l’Iran ha imparato a sopravvivere in questo stato di assedio economico, facendo leva su economia informale, alleanze alternative (Cina, Russia) e resilienza della propria popolazione.

Israele: sul fronte israeliano, l’impatto economico della rivalità con l’Iran si manifesta soprattutto attraverso l’elevata spesa per la difesa e i costi indiretti legati all’instabilità regionale. Israele già di per sé investe una quota notevole delle proprie risorse nella sicurezza – storicamente tra il 5% e il 7% del PIL – a causa delle minacce percepite. Negli ultimi anni, con il peggiorare delle tensioni, il bilancio militare è aumentato sensibilmente: per il 2025 Israele ha stanziato circa 27,2 miliardi di dollari per la difesa (102 miliardi di shekel) rispetto ai ~19 miliardi dell’anno precedente, e il governo Netanyahu ha indicato che potrebbe salire fino a 40 miliardi con ulteriori fondi speciali. A questa cifra si aggiungono gli aiuti militari statunitensi (3,8 miliardi annui già menzionati) e gli extra stanziati in situazioni di conflitto – ad esempio, dopo l’attacco di Hamas dell’ottobre 2023 gli USA hanno fornito a Israele supporti aggiuntivi per circa 8,7 miliardi di dollari in armamenti e munizioni. L’arsenale anti-missilistico (sistemi Iron Dome, Arrow e David’s Sling) e le capacità d’intelligence/cyber di cui Israele si dota per difendersi da Iran e proxy hanno costi ingenti, in parte mitigati proprio dai contributi esterni e dall’industria bellica nazionale (Israele è divenuto esportatore di tecnologie militari sofisticate grazie anche alle esigenze poste dalla minaccia iraniana). Sul piano macroeconomico, l’economia israeliana – altamente sviluppata nei settori tech e dei servizi – ha mostrato notevole capacità di assorbire gli shock geopolitici. Tuttavia, conflitti prolungati o incertezza strategica pesano su investimenti e crescita: ad esempio, a seguito della guerra di Gaza del 2023 e delle conseguenti tensioni con Iran/Hezbollah, la crescita prevista per il 2024 è stata tagliata allo 0,4% (da stime pre-conflitto dell’1,1%). Le mobilitazioni militari richiamano decine di migliaia di riservisti sottraendoli al lavoro – con impatti su settori cruciali come tecnologia, edilizia e agricoltura – e la chiusura delle frontiere ai lavoratori palestinesi ha creato carenze di manodopera. Inoltre, il clima di insicurezza (timore di attacchi missilistici o terroristici) incide su turismo e consumi. Nel complesso però Israele, grazie alla diversificazione economica e al sostegno internazionale, ha retto bene finora: il debito è aumentato per finanziare la difesa, ma rimane sostenibile, e l’inflazione è sotto controllo (salvo oscillazioni legate ai prezzi energetici globali). In prospettiva, tuttavia, un conflitto diretto e su larga scala con l’Iran potrebbe comportare costi gravissimi: danni infrastrutturali se le città israeliane fossero colpite da missili balistici iraniani, fuga di capitali, crollo di fiducia nei mercati. Le autorità finanziarie israeliane hanno piani di emergenza per scenari bellici (ad esempio, misure per tenere aperta la Borsa anche durante eventuali attacchi, e riserve monetarie robuste per stabilizzare il cambio dello shekel). Va notato che la difesa civile (rifugi, sistemi di allerta) è parte integrante dell’economia di guerra israeliana, con investimenti continui per proteggere la popolazione da un possibile attacco iraniano via missili o droni.

Impatto Globale: la crisi israelo-iraniana ha rilevanza planetaria principalmente per due fattori economici: energia e mercati finanziari. L’Iran, pur penalizzato dalle sanzioni, rimane uno dei maggiori produttori mondiali di petrolio e gas naturale, e la sua posizione geografica gli consente di influire su snodi vitali del commercio energetico. Lo scenario più temuto è che una guerra tra Iran e Israele coinvolga il Golfo Persico, causando un’interruzione delle forniture petrolifere. Lo Stretto di Hormuz, sorvegliato dall’Iran, è il passaggio obbligato di circa il 20% del petrolio mondiale che viaggia via mare; se Teheran dovesse bloccarlo in ritorsione ad attacchi subiti, gli esperti stimano che il prezzo del greggio potrebbe balzare fino a 120 dollari al barile (contro una base di ~75 dollari), mandando in crisi l’economia globale. Finora, nonostante periodiche minacce iraniane, Hormuz non è mai stato chiuso neppure nei momenti di massima tensione, poiché anche l’Iran ha interesse a mantenere aperta la rotta per esportare (seppur clandestinamente). Tuttavia, già la paura di un’escalation incide sui prezzi: in un recente scenario di attacco israeliano alle installazioni nucleari iraniane, il greggio è schizzato +9% in un solo giorno toccando massimi annuali, e il gas naturale potrebbe seguire un andamento simile dato che il vicino Qatar (grande esportatore di GNL) dipende anch’esso da Hormuz per le sue spedizioni. Le oscillazioni del petrolio si riflettono a catena sui costi energetici in tutto il mondo, alimentando inflazione e complicando le politiche monetarie. Paesi importatori netti di energia (come quelli europei) subirebbero contraccolpi immediati, mentre esportatori concorrenti (USA, Arabia Saudita) potrebbero temporaneamente beneficiare di prezzi più alti, pur temendo la distruzione di domanda in caso di shock troppo violento.

In parallelo, i mercati finanziari globali reagirebbero con volatilità estrema a un conflitto apertamente dichiarato. Gli investitori tendono a rifugiarsi in beni considerati sicuri (oro, valute forti) e a vendere azioni e asset rischiosi all’annuncio di guerre mediorientali. Ad esempio, le notizie di bombardamenti israeliani in Iran hanno portato il Dow Jones di Wall Street a perdere oltre 500 punti in poche ore, trascinando giù gli indici azionari in Europa e Asia. Simultaneamente l’oro ha raggiunto prezzi record storici, segno di una corsa alla sicurezza, e valute come franco svizzero e yen si sono immediatamente rafforzate. Una crisi prolungata potrebbe dunque innescare turbolenze finanziarie, ridurre la crescita economica mondiale e persino contribuire a una recessione se combinata ad altri fattori sfavorevoli. Va aggiunto l’effetto su partner commerciali chiave dell’Iran: la Cina, che come detto importa molto petrolio iraniano a prezzi scontati, in caso di interruzione delle forniture dovrebbe procurarsi barili più costosi altrove, aumentando i costi di produzione per la sua industria – costi che verrebbero in parte trasferiti sui prezzi globali dei beni esportati dalla Cina. Anche l’India e altri paesi asiatici che acquistano dall’Iran subirebbero contraccolpi e potrebbero dover riorientare i propri approvvigionamenti energetici (con possibili tensioni diplomatiche sulle quote OPEC). Sul fronte opposto, un effetto positivo per alcuni potrebbe essere l’aumento della domanda di armamenti e sistemi di sicurezza: le industrie belliche USA ed europee hanno già visto crescere ordini da parte di Paesi del Golfo allarmati dall’Iran, e un conflitto aperto spingerebbe ulteriormente la corsa agli armamenti nella regione, con commesse miliardarie (droni, difese aeree, missili). Naturalmente, però, questi benefici settoriali sarebbero sovrastati dai costi umani e materiali immensi di una guerra.

In definitiva, l’economia globale è strettamente interconnessa alla stabilità del Medio Oriente: la crisi tra Iran e Israele, pur localizzata, funge da pericoloso fattore di rischio sistemico. Lo stato di conflitto latente ha già richiesto un “premio al rischio” incorporato nei prezzi del petrolio e ha condizionato scelte di investimento nella regione (molte multinazionali evitano l’Iran e valutano con cautela anche Israele e i paesi vicini in base all’andamento delle tensioni). Una soluzione diplomatica che riducesse le ostilità potrebbe sbloccare il potenziale economico dell’Iran – con benefici per il mercato energetico – e ridurre il peso militare sul bilancio israeliano, generando dividendi di pace. Purtroppo, allo stato attuale, i calcoli politici e di sicurezza hanno la meglio sulle considerazioni economiche, e sia Teheran che Gerusalemme sembrano disposte a sostenere elevati costi pur di perseguire i rispettivi obiettivi strategici.

Conclusioni

La contrapposizione tra Iran e Israele è divenuta uno dei conflitti centrali del nostro tempo, con implicazioni ben oltre i due paesi coinvolti. L’analisi storica mostra un’evoluzione drammatica: da una collaborazione silenziosa nel dopoguerra si è giunti, dopo il 1979, a un’ostilità implacabile, alimentata da divergenze ideologiche, religiose e geopolitiche. Sul piano politico, il confronto si gioca tanto con parole e alleanze quanto con azioni segrete e guerre per procura, configurando una partita a scacchi regionale in cui ogni mossa – dal Libano a Gaza, da Damasco al cyberspazio – può spostare gli equilibri. Infine, l’aspetto economico ci ricorda che le guerre non si combattono solo sul campo: sanzioni, prezzi del petrolio, bilanci statali e mercati finanziari sono armi e bersagli di una guerra non dichiarata ma già in atto.

In assenza di dialogo diretto tra Teheran e Tel Aviv, la comunità internazionale fatica a trovare soluzioni: iniziative diplomatiche come l’Accordo sul nucleare hanno avuto vita breve, e lo scenario attuale vede un rischio crescente di errore di calcolo o escalation involontaria. Eppure, una distensione sarebbe nell’interesse di milioni di persone – dagli iraniani stremati dalla crisi economica agli israeliani costretti a vivere sotto minaccia continua – e della stabilità globale. L’analisi condotta evidenzia quanto costosa sia stata finora la “guerra fredda” israelo-iraniana in termini di sviluppo mancato, di vite perdute nei conflitti periferici e di tensione accumulata. Ogni ulteriore passo verso il baratro di una guerra aperta aumenterebbe esponenzialmente questi costi.

Comprendere a fondo le radici storiche, le logiche politiche e le dinamiche economiche di questa crisi è fondamentale per chiunque voglia contribuire a disinnescarla. In conclusione, la crisi tra Israele e Iran non è un semplice dissidio bilaterale ma un nodo gordiano geopolitico che intreccia ideologia, sicurezza e risorse – un nodo che fino ad oggi nessuno è riuscito a sciogliere, ma il cui scioglimento (o taglio) sarà determinante per il futuro equilibrio del Medio Oriente e del mondo intero.

Redazione #Infogiotv

Fonti:

  • Antonio Di Dio, La complessa storia delle relazioni tra Iran e Israele, Eco Internazionale (14 giugno 2025)ecointernazionale.comecointernazionale.com
  • Focus Storia / Riccardo Michelucci, Tra Iran e Israele è guerra: qual è il ruolo degli Stati Uniti? Focus.itfocus.itfocus.it
  • Oman Al Yahyai, Timeline: come si è arrivati al conflitto tra Israele e Iran?, Euronews (13 giugno 2025)it.euronews.comit.euronews.com
  • Vincenzo Nigro, Iran, Khamenei: “Israele è un tumore… armiamo i palestinesi”, la Repubblica (22 maggio 2020)repubblica.itrepubblica.it
  • Redazione Analisi Difesa, Israele e Iran aumentano le spese per la Difesa, AnalisiDifesa.it (7 novembre 2024)analisidifesa.itanalisidifesa.it
  • Reuters, Iran’s Revolutionary Guards extend control over oil exports, Reuters (18 dicembre 2024)reuters.comreuters.com
  • Valerio Cattano, L’arsenale da 150mila pezzi di Hezbollah (grazie all’Iran), Il Fatto Quotidiano (25 settembre 2024)ilfattoquotidiano.it
  • Riccardo Piccolo, Attacco di Israele in Iran, quali conseguenze ha sull’economia, Wired Italia (13 giugno 2025)wired.itwired.it
  • ISPI, Iran: visione sfumata, ispionline.it (7 marzo 2025)ispionline.it
  • Ansa, Israele attacca l’Iran – aggiornamenti, Ansa.it (13 giugno 2025)ansa.itansa.it

Di admin

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *